“Logan”, l’ultima incarnazione sullo schermo di Wolverine nel corpo di Hugh Jackman. L’abbiamo visto in anteprima per voi, ecco cosa ne pensiamo
Un tempo, quasi in tono denigratorio, li chiamavano ‘cinecomics’.
Di certo prima di “Logan”, l’ultima incarnazione sullo schermo di Wolverine nel corpo di Hugh Jackman, che dopo questo film appenderà le unghie di adamantio al chiodo.
O le infilzerà in qualche tronco d’albero, più facilmente.
L’attore australiano si è decurtato il cachet pur di avere una storia che fosse efficace come quella narrata sulle pagine dei fumetti.
“Logan” si ispira liberamente, in particolare, a due miniserie Marvel.
La prima è “Old Man Logan”, scritta nel 2008 da Mark Millar, che si è preso tutto il margine possibile concessogli dalla censura per creare un’avventura crepuscolare e cruenta, al limite del grottesco e decisamente splatter.
Nominare la seconda sarebbe, già dal titolo, uno spoiler grosso come uno dei sigari di infima qualità fumati dal nostro Wolverine.
Siamo in un futuro non lontanissimo, in cui i mutanti sono quasi estinti e Logan si prende cura di un Professor Xavier (Patrick Stewart, anch’egli al probabile addio al personaggio), ormai anziano e malato.
La loro vita ai margini della società è scossa dall’incontro con Laura (o X-23), una ragazzina fuggita dai laboratori messicani dove vengono creati nuovi mutanti , partendo dal DNA originario dell’Arma X, ossia Wolverine.
Per Logan l’incontro ed il viaggio per portare Laura in North Dakota è l’occasione guadagnare qualcosa, per Xavier è la speranza.
Il viaggio è, come spesso accade, motivo di trasformazione: si parte dal solo desiderio di fare dei soldi fino ad arrivare al simbolico riscatto di una vita intera, alla speranza di raggiungere un Eden terreno, ma anche metafora di un domani migliore.
“Logan” è un un road-movie, un viaggio dal sud al nord degli USA (nei fumetti da Ovest ad Est) partendo dal confine col Messico (quasi profetico il tentativo di sfondare con un’auto la rete rinforzata che divide le due Nazioni).
Il regista James Mangold ha affermato che la più grande ispirazione per il film è stata la serie a fumetti “Watchmen”.
Questo, sicuramente, non per i contenuti o la storia, ma per l’impatto che le storie del passato hanno sul presente di uomini o superuomini.
La consapevolezza, nuova nei film supereroistici, ma non nuovissima sulle pagine dei comics, dell’invecchiamento, della stanchezza e, persino, della disperazione.
Wolverine non c’è quasi più: l’uomo Logan è ammaccato e stanco, attaccato alla vita solo, forse, per un senso di gratitudine nei riguardi di Xavier che lo porta a prendersi cura del Professore come puo’.
Il film è permeato da questa sensazione di tristezza, spunto anche per qualche simpatica gag, che però non è mai troppo spinta: in fondo Wolverine sfodererà ancora i propri artigli.
In molte occasioni.
In un modo che così violento non si era mai visto.
Già, perchè Hugh Jackman, si diceva, si è tagliato il cachet per un motivo: fare il film come doveva essere fatto.
E Wolverine è come deve essere: violentissimo e cattivissimo, quando serve dare libero sfogo alla sua rabbia da berserker.
Jackman ha dato tutto se stesso in questa pellicola.
Wolverine è il ruolo che ha modellato la sua intera carriera di attore ed a lui deve tutto: in questo addio ha profuso uno sforzo ed un impegno che sono degni di nota.
Bravissimo. Mancherà davvero.
Insieme a lui un ottimo Patrick Stewart: i due regalano ai loro personaggi più sfaccettature nell’arco della storia, spinti entrambi verso un bene superiore. Logan per una specie di accettazione del suo ruolo, per così dire, di genitore e Xavier per portare avanti la sua missione, la missione di tutta una vita.
Il miglior film della saga.
Non solo per quel che riguarda il solo Wolverine, ma dell’intera epopea degli X-Men.
Un film che cambia il modo di intendere i supereroi, che non sono più indistruttibili ed intramontabili.
Un tempo, quasi in tono denigratorio, li chiamavano ‘cinecomics’.
Di certo prima di “Logan”.
“Logan” è al cinema dal 1 marzo 2017.
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