“Kong: Skull Island”, siamo andati a vederlo per voi!
Andando a vedere un film dedicato a King Kong, si sa già cosa aspettarsi, al 98%.
Ma stavolta manca una bella fetta della storia classica.
Perchè “Kong: Skull Island” non è un remake, né tantomeno un sequel, o un prequel: è un reboot, che serve a resettare e modernizzare le vicende dell’ultimo esemplare della specie dei Megaprimatus Kong ed inserirle in un universo mostruoso più ampio (detto MonsterVerse), che porterà, nel 2020, al già annunciato “Godzilla vs. Kong”.
Quindi niente scena |gorilla+grattacielo@New York| ?
Ecco, perciò, spiegato il facile motivo per cui si sia sentito il bisogno di fare un altro film sulle origini di King Kong, prendere uno scimmione alto 31 metri, cercare di stenderlo, farlo incattivire e poi cercare di stenderlo.
È dal 1933 che si va avanti così.
Una lunga strada che è partita dall’animazione a passo uno del pupazzo fatto di alluminio, gomma e pelliccia di coniglio nel film di Merian C. Cooper ed Ernest B. Schoedsack, per passare al modello meccanizzato costruito dal nostro Carlo Rambaldi negli anni ’70, fino ad arrivare all’introduzione della grafica computerizzata, per il penultimo film dedicato al gorillone, intenso e toccante, fortemente voluto da Peter Jackson, nel 2005.
Un processo che ha reso visivamente sempre più credibile, e sempre al passo coi tempi, l’enorme creatura nata sull’Isola del Teschio.
Isola del Teschio che ha due connotati peculiari, che le conferiscono quel nome: ossia la caratteristica, come direbbero i seguaci di Jacques de La Palice, di essere un’isola e la caratteristica della sua particolare forma, che ricorda un teschio umano (o di scimmia?).
Nome a parte, ha anche, come elemento distintivo, il fatto di essere abitata da creature gigantesche e/o estinte in tutto il resto del mondo.
Un’imponente scimmia si destreggia tra la tipica fauna del luogo, composta da ragni giganti, megapiovre, megabufale (non nel senso delle stupidate internettiane, ma di quelle che garantiscono mozzarelle per tutti gli abitanti) e, per ultimi, gli striscia-teschi (skullcrawlers, in originale: una new entry di questo “Skull Island”, i responsabili della decimazione della specie di Kong).
Adorato come un dio da una tribù indigena, Kong non si aspetta di dover fronteggiare l’arrivo di grossi insetti metallici, anche detti elicotteri, che lo tormentano con innumerevoli piccole schegge, anche dette pallottole.
I fili che si tentano di annodare per imbastire uno straccio di trama sono talmente sottili che, l’arrivo all’Isola ancora (forse) inesplorata della consueta spedizione, è veramente una liberazione.
Perchè poi appare Kong.
Ed è fantastico: il più clamoroso di sempre.
Bellissimo e minaccioso, molto meno gorilla e molto più mostruoso.
Kong spacca, distrugge, schiaccia, abbatte, calpesta: fa tutto quello che deve fare, in uno scenario spettacolare (che vi ricorda quello di Lost? E infatti…), con una intensa fotografia al tramonto ed in notturna ed inquadrature che ne esaltano sempre la maestosità.
Torna ad essere la bestia feroce delle sue origini, perdendo le caratteristiche di antieroe tragico, lo sguardo innamorato, i teneri gesti e le smancerie nei confronti della bionda di turno.
Persa la collaudata atmosfera da favola triste.
Finalmente è solo uno scimmione alto come un palazzo di 10 piani che va in giro a fare a pezzi ciò che incontra (esclusi i poco ciarlieri autoctoni, che protegge e rispetta).
È il personaggio migliore della pellicola, il che, non esprimendosi lui se non tramite ruggiti, grugniti e versi vari, è tutto dire. Gli altri sono caratterizzati nella sceneggiatura, probabilmente con un’unica parola, tipo: il colonnello fanatico, la fotografa pacifista…
Ed il soldato pirla, protagonista, suo malgrado, del momento di gran lunga più esilarante.
Si attendono con ansia le apparizioni di Kong, mentre di tutto il resto del cast poco o nulla ci importa, dopo i primi venti minuti in cui si cerca di cacciar loro in bocca una serie di one-liner, di cui si sarebbero vergognati anche negli anni ‘80, l’arrivo del gigante spazza via ogni comprimario dalla scena (per fortuna anche fisicamente, in diversi casi aiutato dagli altri mostri).
Una particolarità del gruppo di attori di “Kong: Skull Island”: è praticamente mezzo Universo Cinematografico Marvel, con Loki (Tom Hiddleston), la futura Captain Marvel (Brie Larson), Nick Fury (Samuel L. Jackson) e Rhomann Dey della Nova Corps (John C. Reilly). Unica aggiunta fuori contesto: il dimagritissimo John Goodman.
Colonna sonora supersonica per “Kong: Skull Island”: la vicenda è ambientata nel 1973 e si è andati a pescare in un mare di pesci grossissimi e saporitissimi, dai Doors ai Creedence, da Bowie ai Black Sabbath. Ti piace vincere facile.
Dunque attendiamo la rivincita di “Kingu Kongu tai Gojira” (King Kong contro Godzilla – “Il trionfo di King Kong” in Italia), film giapponese del 1962.
Sperando che ci sia molto più spazio per i mostri e meno per la storia e per gli umani.
La scena post-titoli di coda sembra incoraggiante, da questo punto di vista.
“Kong: Skull Island” è al cinema dal 9 marzo 2017.
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