Transformers – L’Ultimo Cavaliere: la nostra recensione

5,5

È finalmente approdato al cinema il quinto capitolo della saga dei Transformers: L’ultimo cavaliere!
Sembra che alcuni dei grandi punti di forza del franchise siano venuti meno:
scoprite quali!

Dopo la battaglia di Hong Kong, gli Autobot e Cade Yeager sono ricercati dalla TRF (Transformers Reaction Force), un’organizzazione militare il cui scopo è sterminare tutti i Transformers, indipendentemente dalla fazione a cui appartengono.
Tuttavia una nuova minaccia incombe sulla Terra e i militari si uniscono a Cade, agli Autobot ed ai Decepticon per salvare il mondo.
Intanto il leader degli Autobot, Optimus Prime, dopo essere andato alla ricerca del suo “creatore”, sembra ora ostile verso gli umani e i suoi vecchi amici Autobot.

Questo quinto capitolo della saga rimane perfettamente in linea con la regia di Michael Bay nei pregi e, purtroppo, anche nei difetti.
La trama è complessa, molto caotica e manca di uno degli elementi che hanno sempre caratterizzato questo franchise: la spettacolarità.

 

Se la fortuna della saga è stata, appunto, l’eccesso spettacolare di Bay, qui il regista sembra tirare il freno a mano e nonostante gli scontri epici e i sempre più giganteschi robot spaziali, tutto quello che Transformers 5 trasmette è monotonia.

Il film si apre con una splendida sequenza ambientata nel Medioevo, ai tempi di Re Artù: durante una battaglia, scopriamo che il potere di Merlino deriva proprio dai Transformers, che già abitano la Terra in quel periodo.
Un buon pretesto che si scioglie però come neve al sole; il ritorno ai giorni nostri e ai personaggi che abbiamo conosciuto nel tempo, crea un cortocircuito narrativo che inciampa sulle idee del suo stesso racconto, creando le problematiche di cui sopra.
Come se non bastasse il problema della trama si riflette anche, e soprattutto, nei personaggi che, in questo capitolo, vengono un po’ messi da parte per lasciare più spazio ai robot.

Oltre ai già conosciuti Cade Yeager (Mark Wahlberg) e Agente Simmons (John Turturro), i nuovi personaggi, Sir Edmund Burton (Anthony Hopkins), Vivian Wembley (Laura Haddock) e la piccola Izabella (Isabela Moner), non riescono a creare un legame empatico con il pubblico e la loro caratterizzazione è sommaria e superficiale.
Basti solo pensare che Izabella viene introdotta all’inizio e poi tralasciata fino a quasi le battute finali.

Bay cerca di fare leva sul taglio ironico, ma la componente umoristica è lasciata in balia di se stessa e non porta mai ad una concreta realizzazione di questo aspetto.

In un film così lungo, diventa complicato riuscire a non perdersi tra i meandri di un labirinto narrativo che nasconde personaggi e che manca di connessioni logiche e cronologiche.
Sì, perché l’ambientazione storica non viene quasi più menzionata o trattata per tutto la pellicola e forse qualche aggancio in più sarebbe stato gradito.
Forse, arrivati ad un quinto film, la retorica ha la meglio sulla meraviglia.
E se le potenzialità e i presupposti per una buona riuscita c’erano tutti, ha, purtroppo, prevalso l’orgoglio di una regia che ambisce al successo, ma con troppo eccesso.

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