Thimbleweed Park, la nostra recensione dell’avventura grafica ideata da Ron Gilbert e Gary Winnick, già creatori di Maniac Mansion e Monkey Island.
Correva l’anno 1987. I primi home computer avevano preso posto nelle sulle scrivanie dei primi pionieri dell’intrattenimento elettronico. Un giovane sviluppatore dell’allora Lucasfilm Games, realizzò un innovativo motore di gioco per lo sviluppo di avventure grafiche: lo SCUMM. Sono passati trent’anni da quel giorno. Il settore delle avventure grafiche ha attraversato momenti di estrema crisi e solo grazie agli sforzi di alcune software house (Telltale e Revolution in primis) è riuscita a non perdere del tutto visibilità.
Anche se l’avventura grafica in tutti questi anni ha radicalmente cambiato volto, alzi la mano chi non ha sentito parlare di almeno uno dei seguenti titoli: Maniac Mansion, The Secret Of Monkey Island o Zak McKracken and the Alien Mindbenders. Alla base di questi intramontabili classici del genere, non c’è solo il motore SCUMM, ma un vero e proprio stile di gioco che, grazie all’operato delle menti di Ron Gilbert e Gary Winnick, ha scolpito su pietra i canoni dell’avventura grafica nel suo periodo d’oro: il decennio a cavallo tra gli anni 80 e 90.
Con Thimbleweed Park, la coppia Gilbert & Winnick torna a lavorare insieme su un progetto, ed improvvisamente il tempo si ferma, per poi riportarci bruscamente indietro al 1987… in tutti i sensi.
La trama del gioco è estremamente semplice: Thimbleweed Park è un villaggio di 81 abitanti disperso non si sa dove. Il cadavere di un uomo viene ritrovato in circostanze misteriose. Due agenti federali, Angela Ray ed Antonio Reyes, si ritrovano inspiegabilmente sulla stessa scena del delitto, costretti a lavorare insieme per arrivare alla chiusura del caso. Dal preciso istante in cui ha inizio l’indagine, ci troveremo coinvolti in una serie di situazioni in puro stile Lucasfilm: personaggi bizzarri, atmosfere surreali e dialoghi al limite del nonsense. È veramente difficile rendere l’idea senza sconfinare in spoiler: nel corso dell’intera avventura spopolano in continuazione riferimenti ai precedenti lavori della coppia Gilbert & Winnick, alcuni dei quali sono estremamente raffinati. Giusto per citarne uno: la motosega! (chi ha giocato a Maniac Mansion capirà!)
Sempre sullo stile di Maniac Mansion, continuando nell’avventura, avremo la possibilità di prendere il controllo di altri personaggi: il rozzo e cinico clown Ransome, la giovane aspirante game-designer Delores ed il fantasma di suo padre, Franklin. Il nostro compito sarà quello di controllare e far interagire i cinque protagonisti per far luce sul mistero che avvolge la bizzarra cittadina di Thimbleweed Park.
Tecnicamente il gioco non è nulla di eccezionale: stiamo parlando di un titolo che si avvale di un’interfaccia di controllo di trent’anni fa: il classico punta e clicca con grafica 8-bit. La sola eccezione al passo coi tempi è rappresentata dai dialoghi, rigorosamente in lingua inglese, sottotitolati anche in italiano. Gli enigmi non sono particolarmente complessi, anche se talvolta potrebbe subentrare un leggero smarrimento o addirittura frustrazione per non essere riusciti a sbloccare la situazione. Lo stampo dell’avventura lascia comunque la possibilità di procedere per tentativi senza infierire sul giocatore inesperto.
L’aspetto più deludente del gioco è forse la scarsa integrazione dei personaggi nel contesto della trama: ognuno di loro ha le proprie motivazioni, ma se escludiamo i due agenti federali, gli altri personaggi tendono ad operare in modo abbastanza autonomo, senza che le azioni di un personaggio ricadano direttamente sugli altri. Questo ci lascia liberi di risolvere la maggior parte degli enigmi col personaggio che più ci aggrada, ma non aiuta certo a vedere i protagonisti come un gruppo dal fine comune.
La storia a tratti può addirittura sembrare lacunosa ed arrabattata, ma l’esperienza di gioco resta costantemente divertente ed originale, grazie anche al contributo offerto dai supporter durante la campagna su Kickstarter. A dispetto degli evidenti limiti, tutto richiama al vecchio stile che ha reso l’avventura grafica un genere da best seller tripla-A.
Thimbleweed Park è come trovare una foto di trent’anni fa che ci ritrae davanti al nostro vecchio Commodore 64. Chi ha vissuto quegli anni, giocato ai vecchi classici del genere, riscoprirà felicemente quelle sensazioni, lanciandosi in un meraviglioso tuffo nel passato. Chi invece è più giovane, potrebbe trovare l’ispirazione giusta per abbandonarsi ad un po’ di retrogaming, riscoprendo il fascino immortale di titoli che probabilmente hanno tolto il sonno ai loro genitori. Se tutto questo per voi vale la spesa di 20€, leggete pure il voto finale.
In caso contrario, togliete pure un punto alla valutazione finale e restate sereni.
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