The Mule, il film capolavoro targato Eastwood

the mule recensione
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Massimo è andato a vedere per noi The Mule, ed è tornato commosso come un bambino e soddisfatto più che mai.
Vediamo insieme cosa ci racconta!

La vita non è semplice, per il novantenne veterano di guerra Earl Stone. La sua attività di floricoltore è ormai fallita, a causa dell’ avvento degli e.commerce, e i suoi famigliari, in particolare la ex moglie e la figlia, gli hanno voltato le spalle, dopo che per anni Earl ha privilegiato la dedizione al proprio lavoro di fronte agli affetti.

Le sorti del suo destino cambieranno quando egli accetterà, prima impaurito, poi sempre più gratificato, di diventare corriere della droga per un cartello di malviventi messicani.

Ma la legge è già caparbiamente sulle sue tracce.

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Non è semplice rimettersi in gioco e in discussione, in particolare in un età avanzata come quella del signor Clint Eastwood.

Non è altrettanto facile immaginare quale scintilla possa essersi accesa nella mente di uno dei più importanti attori e cineasti di tutti i tempi, quando ha posato gli occhi sull’articolo del New York Times dedicato a Leo Sharp, ottantasettenne corriere al soldo del cartello della droga di Sinaloa, arrestato dalla DEA (Drug Enforcement Administration) nel 2011.
Eastwood, sembrava aver definitivamente posto una fine al connubio regista/attore, con il bellissimo ‘anti western’ Gran Torino, datato 2009, nel quale il vecchio ‘pistolero’ affrontava l’ultima resa dei conti senza un’arma al suo fianco.

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E’ sorprendente quindi che nel 2019, l’inossidabile Clint abbia ancora a disposizione proiettili di questo calibro.
The Mule – Il Corriere, colpisce con forza, dritto al cuore, senza fronzoli e senza troppi giri di parole, fermo come la schiena ancora solida del suo autore, e lineare come il suo cinema classico ma meravigliosamente così attuale.

Forte di una semplicità narrativa che paga solo qualche prevedibilità nella prima parte, The Mule s’impone tuttavia col passare dei minuti come l’ennesima felice rilettura eastwoodiana di tipici stilemi, in questo caso il western ed il road movie, pretesto per raccontare una vicenda più che mai intima, autobiografica, filtrata da un occhio allo stesso tempo autoironico, autoindulgente e autocritico.

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Ad Eastwood non interessa raccontare le vicende di Leo Sharp sotto lo pseudonimo di Earl Stone; ciò che emergono sono i rimpianti, i rimorsi, la malinconia e lo sguardo nello specchietto retrovisore dell’Eastwood uomo.

Earl Stone è un acciaccato antieroe dell’America moderna, schiacciato ancora una volta dal fallimento del ‘Sogno’, vitale ma stanco, sorridente ma scomodo e politically incorrect, che usa la parola ‘nigger’ e confonde per uomini un gruppo di motocicliste lesbiche. Un uomo fatto di contraddizioni come gli U.S.A., della cui provincia diffidente e razzista è perfetto esponente.
Earl, capace di coltivare e creare opere belle ma effimere come i suoi fiori, premiati nelle fiere di tutto il paese, ma sacrificando il tempo trascorso con i propri familiari, è Eastwood che, non è dato di sapere quanto a ragione o a torto, chiede perdono a se stesso e ai suoi cari, per aver preposto la carriera e l’ego artistico ad una vita personale, non a caso costellata di matrimoni falliti e complicata da relazioni extraconiugali. Simbolico in tal senso il fatto di aver incluso nel cast la figlia Alison nella parte di Iris Stone.

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Un’ammissione di colpe lucida, umanissima ed intima che rifugge da facili banalità e riesce, come è tipico nello stile del suo autore, a raccontare di temi importanti con un linguaggio essenziale e molto più profondo delle mere apparenze.

In The Mule, più che in tante altre sue opere, Eastwood non ha paura di mettersi in discussione, di mostrare le proprie debolezze fisiche (un corpo da anziano svelato senza alcuna vergogna) ed esistenziali, la sensazione di essere inadeguato ai tempi (il gap tecnologico con le nuove generazioni), e la paura di dover rincorrere il tempo che non ritorna più.

‘I could by everything except time’

Mentre l’agente del DEA Colin Bates (un ottimo Bradley Cooper) e i narcotrafficanti messicani lo incalzano, Earl vuole trovare il modo per riparare ai suoi errori, per riconciliarsi in extremis con la propria ex moglie Mary (Dianne Wiest), per ritrovare quella famiglia che aveva messo in secondo piano e troppo spesso dimenticato, mentre riscuoteva successi alle fiere floreali.
In questo preciso Eastwood ritrova l’ispirazione più pura dopo qualche anno di buonissimo cinema e un paio di passaggi a vuoto, e ci regala l’ennesima perla di umanità.
Si prende la libertà di insegnare, di dare un monito, di salire in cattedra senza doversi elevare, di far parlare Earl in nome suo.

Il vecchio cowboy alla (forse) ultima resa dei conti, ancora una volta non ha bisogno di sfoderare una colt; sono sufficienti gli sguardi, la testa bassa, l’autoaccusa e la voglia di aggrapparsi al calore degli affetti, che possono ancora rinsaldarsi e rinnovarsi come nuovi fiori che dei quali Earl vuole ancora prendersi cura.

Non sappiamo di cosa tu volessi farti perdonare, caro vecchio Clint, ma ti ringraziamo per averne sentito il bisogno.

 

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