Anno 2049, città di Los Angeles.
L’agente K (Ryan Gosling), replicante di ultima generazione al servizio del dipartimento di polizia, è impegnato nella missione di ‘ritiro’ di un omologo vecchio esemplare sfuggito da tempo al controllo delle autorità.
Il fortuito ritrovamento di una reliquia trasformerà quella che era una semplice operazione, nell’incipit di un viaggio verso la soluzione di un mistero che potrebbe cambiare le sorti dell’intera società umana.
Gli anni 2000, da un punto di vista cinematografico, sono spesso caratterizzati da un recupero dei punti di riferimento dei decenni passati, ed allo stesso tempo dall’incapacità di rielaborarli in termini originali: reboot, remake e sequel sono parole spesso sinonimo di sterilità e di realizzazioni fini a loro stesse.
Tutto questo, ed il senso di sollievo è grande, non è Blade Runner 2049.
Salire sulle spalle dei giganti è assai rischioso, si rischia di cadere fragorosamente; ancor più pericoloso è avvicinarsi ad un monolite pietra di paragone del cinema di tutti i tempi.
Il regista canadese Denis Villeneuve, con una straordinaria prova di personalità e maturità, sceglie di ripartire dal capolavoro di Ridley Scott per raccontare una sequenza di eventi che prendono vita autonoma, e che ne ampliano ed approfondiscono le tematiche in chiave moderna.
Blade Runner 2049 racconta di una ricerca personale, filosofica ed esistenziale; un anelito verso la componente più umana e fragile di noi stessi sullo sfondo di un presente cupo, deviato ed ipertecnologico.
Umani e replicanti sono più che mai indistinguibili, la Tyrell Corporation ha ceduto il passo ad una più avanzata e potente multinazionale, governata da Niander Wallace (Jared Leto), ossessionato dal perfezionamento delle proprie creazioni umanoidi, sorta di artefice divino in terra.
I replicanti di nuova generazione, sottomessi all’obbedienza, sono tanto più vicini all’umano quanto sacrificabili. Carne da macello senza nome e destinata a sanguinare in nome dell’interesse superiore.
Nella caotica e cupa desolazione di una Los Angeles ancora buia, sporca e bagnata, K trova una speranza per guardare verso l’alto.
In un mondo governato dalla disumanità tecnologica, la speranza risiede nella fragilità e caducità degli esseri umani.
Nemmeno Villeneuve teme di guardare verso l’alto e Blade Runner 2049 spicca il volo dalle gigantografie olografiche e dai bassifondi losangelini, per mostrarci, con un gusto scenografico maestoso, una terra devastata da collassi climatici, distese di aridi mari divenuti discariche e una Las Vegas ammantata di un rosso quasi marziano.
Così come la componente visiva riesce a stupire (e di questi tempi non è poco), il fattore umano (e umanoide) si avvale di ritratti di malinconica disperazione, contrapposti ad altri di freddo sadismo e furia distruttrice.
Il K di Ryan Gosling è il vero centro motore della vicenda, dolente e disilluso, ma nondimeno colpisce la dolce e disperata umanità di Joi (Ana De Armas), programma computerizzato olografico capace di provare sentimenti, e protagonista di una delle sequenze di amore più belle e poetiche degli ultimi tempi.
Grazie anche alle coprotagoniste Robin Wright nei panni del tenente Joshie ed alla glaciale Sylvia Hoeks, (Luv) angelo oscuro al servizio del ‘semidio’ Wallace, la pellicola è felicemente virata al femminile, e pregna di femminilità nel senso più alto possibile.
Emergono un concetto di donna come portatrice di vita, un messaggio quasi cristologico e la ricerca di una creatura ‘eletta’ capace di completare l’anello mancante tra umani e replicanti.
Tematiche importanti, declinate con un senso della spettacolarità solenne, che nulla concede alla frenesia del linguaggio di certo cinema mainstream moderno. E che presenta solo un perdonabile calo di ritmo verso le battute conclusive, rispetto ad una tenuta pressochè perfetta nell’arco dei 163 minuti.
Villeneuve si àncora saldamente al passato, ma è fortemente proiettato in avanti.
Il recupero dell’immaginario iconico di Scott non è un mero rispolvero di anticaglie, ma il nobile fulcro per la costruzione di una aggiornata mitologia cinematografica, nella quale il misantropo e rugoso Deckard, di un bravo Harrison Ford, è il trait d’union tra passato e futuro.
E se il futuro è ancora una volta livido ed incerto, una cosa è sicura….
Blade Runner 2049 non andrà perduto come lacrime nella pioggia.
Il trailer del film:
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