Lo chiamavano Jeeg Robot

lo chiamavano Jeeg Robot
7,5

Enzo Ceccotti, ladruncolo della periferia romana, vive di piccoli traffici ed espedienti e conduce una vita squallida.
Durante un banale inseguimento conclusosi nelle acque del Tevere, Enzo entra a contatto con una strana sostanza che gli conferisce una forza sovrumana. Egli inizialmente cercherà di trarne profitto personale, ma si troverà suo malgrado a proteggere la problematica vicina di casa Alessia, dalla violenza di una gang criminale capeggiata dal folle Fabio Cannizzaro detto ‘Zingaro’.

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Quando la ‘nerditudine’ non era ancora uno status symbol e l’ondata di pellicole sui supereroi non era neppure all’orizzonte, il pane quotidiano dei ragazzini era costituto (citando Elio e le Storie Tese) dai ‘cartoni animati giapponesi’. In particolare, il clangore metallico dei ‘robottoni’ riempiva gli schermi televisivi, gli occhi sognanti e le orecchie di tanti giovani fans alimentati a pane e Nutella. Non è difficile comprendere come mai il regista romano Gabriele Mainetti, classe 1976, abbia scelto uno dei più iconici supereroi della propria infanzia, quale ispirazione per il suo lungometraggio d’esordio.

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Con una perfetta coerenza nel guardare all’universo ‘anime’ e nell’adattarlo a storie contemporanee di borgata, operazione già apprezzata nei corti Basette (2008) e Tiger Boy ( 2012), Mainetti alza il tiro e realizza uno sfrontato e riuscito noir metropolitano moderno, innestato su una semplice ma efficace struttura da film/fumetto supereroistico.

Non è semplice e forse è impossibile incasellare “Lo chiamavano Jeeg Robot”. Un film pulsante e pieno di cuore, che prende in prestito le atmosfere e i personaggi sopra le righe di tanto cinema di genere italiano degli anni settanta, popolato di gangster e malviventi, adattandolo a stilemi del nuovo millennio e mescolandoli a riferimenti e citazioni di un mondo (l’anime) completamente diverso, con un appeal tanto nostalgico ed ombroso quanto pulp ed eccessivo.

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Variegato e funzionale il trio dei coprotagonisti, antieroi e prodotti umani di una dura e squallida realtà urbana.
Enzo (un granitico ed efficacissimo Claudio Santamaria) è solo, indolente, passivo e rassegnato; un’afasia esistenziale che verrà spazzata via dall’inaspettata acquisizione di un’inspiegabile forza; combattuto tra il tornaconto personale e l’apertura verso squarci di inattesa umanità (‘nun è vero che nun me ne frega niente de nessuno…de te me frega..pure parecchio’), si ergerà infine a protettore della ‘gente’ comune.

Non poteva essere che agli antipodi l’antagonista, il violento, cinico ed istrionico Zingaro, interpretato da un Luca Marinelli che pare estremizzare in toni luciferini e grotteschi il personaggio di Cesare in ‘Non essere cattivo’ di Claudio Caligari. Affamato dalla smania di apparire e di staccarsi dal grigio anonimato di periferia (Io vojo fa’ ‘r botto. Vojo che ‘a gente se piega a pecoroni quanno me ‘ncontra pe’ salutamme, così je posso piscia’ ‘n testa.’), il villain di Mainetti è un sottoprodotto scartato dallo star system, una sorta di piccolo Joker nolaniano disposto a distruggere ogni cosa pur di costruirsi un’identità.

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Non è quindi un caso che l’unico barlume di fragile umanità in questa oscura vicenda sia rappresentato da una creatura disperatamente ancorata al mondo dell’infanzia. Alessia (una esordiente e sorprendente Ilenia Pastorelli), vero mcguffin della vicenda, è allo stesso tempo bimba sperduta, principessa da salvare e donna ferita che ha manipolato la realtà ad immagine e somiglianza del suo cartoon preferito (Lo sapevo io! Te sei Hiroshi Shiba, te poi trasforma’ in Jeeg!’), pur di seppellire le violenze del passato, che riemergono di tanto in tanto in maniera dirompente.

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Tra gangster che sembrano usciti direttamente dalla serie Gomorra (in particolare nel caso di Salvatore Esposito), e sullo sfondo di una Roma che vive giorno per giorno tra miti metropolitani e celebra il rito del derby calcistico incurante degli attentati terroristici, si consuma parabola che porterà un derelitto a trasformarsi in paladino del bene celato dietro una maschera confezionata a mano.

Talvolta grossolano, dalla durata forse eccessiva, semplicistico e caricaturale in alcune caratterizzazioni..ciononostante un film che nel panorama italiano osa solo come un supereroe può fare.

Ma te sei ‘n supereroe, mica poi anna’ a rubbà! C’hai ‘n sacco de gente da salva’. E’ pe’ questo che c’hai i poteri.

 

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